Qualche giorno fa Regione Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Valle d’Aosta e le Province di Trento e di Bolzano hanno stipulato un accordo di programma il cui intento è quello di attuare misure di risanamento della qualità dell’aria in pianura padana. Come ormai noto, questo territorio è tra i più inquinati d’Europa ed è caratterizzato da un altissimo tasso di malattie respiratorie. La scarsa ventilazione dovuta alla presenza delle Alpi infatti ostacola il ricambio d’aria e genera una “cappa” composta da polveri sottili e gas.
Nel libro di Luigi Cirimbelli “Acque irrigue” ci aiuta a capire il percorso di trasformazione della pianura padana dalle sue origini fino ad oggi. L’antica foresta planiziale della pianura padana, denominata “bosco atlantico” è solo un lontano ricordo della situazione odernia: distese di querce, aceri, olmi e pioppi alternate da torbiere; un’habitat perfetto per cervi, alci e cinghiali, ricco di vegetazione ma inospitale per l’uomo.
I primitivi colonizzatori della foresta padana, Etruschi, Greci, Celti e Liguri, non intervennero in modo significativo sulla struttura vegetazionale originaria della Padania. L’inizio del disboscamento risale all’epoca romana (1 sec. a.C.). Dopo il 1000, con l’aumento demografico, la rinascita delle città e la ripresa dell’agricoltura, cominciò la distruzione delle foreste, cui seguì la bonifica massiccia dei territori.
L’origine del tipico paesaggio agrario della Pianura Padana risale però al periodo tra il XV secolo e la prima metà del XVI secolo, quando furono portate a termine le grandi opere di canalizzazione, opere poi completate agli inizi del ‘900 da Mussolini.
Attualmente vi sono alcune aree protette in cui il bosco atlantico è preservato e gestite dal Corpo Forestale dello Stato. Gli ultimi lembi di un mondo che l’uomo ha rinnegato e che adesso dovremmo recuperare.
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