Torniamo sull'argomento “parchi urbani” parlando di uno degli esempi più significativi e ben riusciti di reinterpretazione dell’architettura dello spazio pubblico urbano: il Parc de la Villette. Programmando un viaggio estivo nella capitale francese e fissando le tappe immancabili dell'itinerario parigino, mi imbatto nel sito
www.lavillette.com e non posso fare a meno di perdermi nell'agenda delle numerosissime attività ricreative e culturali proposte durante tutto il corso dell'anno. Niente di strano se si considera che il fra le principali attrazioni del parco ci sono la Cité des sciences et des industries con la sua fornitissima biblioteca multimediale, la Géode, celebre sala di proiezione semisferica, l’Argonaute, un sottomarino disarmato nel 1982 e la Citè de la Musique.
Quello che molti non sanno è che questo parco fu una delle grandi sfide urbanistiche degli anni ottanta e che la sua riuscita ha comportato un radicale cambiamento nel concetto contemporaneo di parco urbano facendolo divenire un elemento qualitativo che è parte integrante della struttura della città. Come nel caso di Torino, il progetto del Parco è frutto di un concorso internazionale e si inserisce in un vasto programma di riqualificazione urbana delle aree in disuso che aveva come obiettivo il recupero della grande area del vecchio mattatoio parigino.
La commissione che stese il bando di concorso partì dal presupposto che i parchi sono in realtà luoghi noiosi e privi di vita, dove s’incontrano solo famigliole con bambini e disoccupati e volle stravolgere questa concezione definendo una nuova ideologia di parco capace di gettare le basi per una progettazione innovativa degli spazi verdi. Facendo un confronto con i giardini delle Tuileries, dove in passato regnava per tutto il giorno una gaia animazione, con musica e pubblico, la commissione stese un lungo programma di concorso. Esso prevedeva che nel nuovo parco ci fosse tutto il pensabile: doveva continuamente esserci qualcosa di diverso per ogni fascia di età, per ogni gruppo di popolazione, all’insegna della multiculturalità. Il parco doveva presentarsi come un contenitore di attività e funzioni legate non solo al divertimento, ma anche all’educazione, affermando dunque il concetto di “parco culturale”. Tschumi e Koolhaas, i due progettisti vincitori del concorso, reagirono adeguatamente a questi stimoli e proposero un luogo che si presenta come una vera e propria “ode alla città” e che non si pone in antitesi con essa. Il loro piano si sbilanciò fortemente sul progetto delle attività, mettendo in secondo piano la presenza del verde.
Il numero delle alberature è infatti nettamente inferiore a tutti gli altri parchi urbani delle stesse dimensioni. Ciò non ha di certo impedito a questo spazio di diventare uno dei cuori pulsanti della città e sopratutto un luogo ispirato dai concetti di “pluralismo” e “innovazione”. Credo sia interessante riflettere su alcune definizioni utilizzate da Tschumi per descrivere la sua concezione di parco:"il parco come confronto tra arte e scienza, tra musica e tecnologia" "il parco come incontro di diverse culture che hanno il diritto di esprimersi" "il parco come strumento culturale all'aria aperta".
Sono forse questi gli ingredienti mancanti che in alcuni casi hanno determinato il fallimento dei nostri parchi urbani?
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