Shigeru Ban ha studi in Asia, Europa e Stati Uniti e numeri da archistar con progetti in tutto il mondo. Scavando nella sua attività professionale però la realtà appare subito diversa: l’architetto giapponese, 56 anni, è noto per l’utilizzo della carta e del cartone e tra i suoi lavori più importanti c’è la costruzione di piccole case-ricovero da 16mq per la popolazione dopo il terremoto di Kobe nel 1995. Nella sua metodologia progettuale dà la preferenza a materiali non convenzionali, riciclabili ed economici come appunto carta e cartone, tessuti o addirittura container. Quest’annola giuria del Pritzker Prize l’ha insignito per “l’attitudine umanitaria e la raffinatezza progettuale abbinata alla ricerca tecnica”. Nelle motivazioni si legge “E’ un architetto eccezionale che nella sua carriera ha risposto con creatività e progetti di alta qualità a situazioni estreme provocate da calamità naturali devastanti. I suoi edifici sono ripari, centri comunitari e luoghi spirituali per coloro che hanno sofferto enormi perdite e distruzioni. Ban è spesso presente sui luoghi delle tragedie tra i quali il Ruanda, Turchia, India, Cina, Italia, Haiti, e nel suo paese, il Giappone. (….) Il suo senso di responsabilità e l’impegno a creare un’architettura di qualità per soddisfare le esigenze della società, combinati con l’approccio originale a queste sfide umanitarie, rendono il vincitore di quest’anno un professionista esemplare”. Shigeru Ban è fondatore anche di una Ong (la Voluntary Architects Network) che opera nel campo della ricostruzione successiva alle calamità naturali.
Non ci sarebbe motivo di stupirsi, la figura dell’architetto è da sempre orientata socialmente ma la delusione che si riscontra negli ultimi vent’anni è constatare quanto poco le “archistar” operino a livello sociale/umanitario. La professione è rivolta per lo più a persone privilegiate che arruolano i “grandi nomi” per erigere monumenti / icone.
Senza ipocrisie diciamo che anche Ban lavora per importanti committenti privati e pubblici ma il suo approccio resta comunque molto “umano”. Durante un lavoro per il “Centre S.Pompidou” a Parigi, al fine di restare più a stretto contatto col committente e comprenderne meglio le esigenze, ha realizzato con strutture totalmente riciclabili l’ufficio di progettazione sul tetto della struttura, donandola poi a fine lavoro al Centro. Oppure ricordo il grande risultato raggiunto con Il Nine Bridges Country – Clubhouse, un complesso ecosostenibile parte di un golf club in Corea del Sud. La struttura ripropone il disegno dei cuscini estivitradizionali coreani: seguendo il medesimo concetto, la struttura in bamboo, solida ed ecosostenibile, favorisce la ventilazione naturale, i risparmi energetici e l’impatto dei materiali sull’ambiente.
E’ chiaro quindi come l’architetto abbia donato alla sua attività un carattere anche spirituale oltre che tecnico-scientifico. Il Pritzker Prize non rappresenta solo il coronamento della sua carriera ma anche un nuovo stimolo per continuare ad ascoltare le persone per le quali lavora, dai committenti privati alle vittime dei disastri.
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