Questo post è il secondo del ciclo “territori vaghi”, se il primo (1/3) ha analizzato come sia cambiato il rapporto tra pubblico e privato nella gestione del territorio, questo invece vuole analizzare come si sia sviluppato il rapporto tra territorio ed energia nelle nuove urbanizzazioni.
Il territorio è visto come un foglio bianco (cit. A. Magnaghi - il progetto locale) , con nessuna relazione tra i bisogni primari dell’uomo e le risorse endogene di ciascun territorio. L’unica relazione che emerge è quella con il profitto, relazione che non rifiuto non essendo io un anti-capitalista; ma che contesto nelle forme più ottuse. L’assenza di una semplice analisi domanda-offerta infatti, è una delle cause del perché si sono generati un numero così elevato di “territori vaghi”; il come lo si osserva dal report fotografico.
Sono tutti edifici che pur rispettando le normative sul risparmio energetico, non rispettano però i dogmi del buon costruire: orientamenti e corretto rapporto volume/superficie ad esempio, essendo progettati pensando alla massimizzazione dell’indice fondiario piuttosto che al benessere del fruitore.
Per energia non s’intende solo quella consumata dagli edifici, se mai verranno abitati, ma anche quella immagazzinata durante la costruzione. Tutti gli edifici fotografati presentano metodi costruttivi tradizionali (mattoni, cemento armato, ecc..). Metodi ben conosciuti dagli artigiani, ma che necessitano, sia di molte ore uomo da parte degli artigiani stessi, sia di molte risorse naturali (acqua, sabbia, ecc…).
L’energia è quella consumata anche dalle urbanizzazioni, se pensiamo alla pubblica illuminazione che deve essere garantita anche per pochi abitanti, questa rappresenta un’onere economico per i Comuni ed uno spreco energetico per la collettività. Abbiamo territori senza più una destinazione d’uso: non sono residenze, non sono negozi, non sono territori agricoli, ma sono solo territori vaghi.
Come si può risolvere il problema?
La mediazione è sicuramente una virtù, ma l’ assenza di domanda , la qualità e la quantità dei territori vaghi, mi fa pensare che l’ipotesi di riportare i territori alla loro destinazione originaria, potrebbe si sembrare folle , ma forse è l’ipotesi più concreta. I proprietari degli immobili invenduti sono vessati da costi fissi di gestione, basti pensare all’IMU, le Amministrazioni da costi fissi derivati dalla gestione delle opere di urbanizzazioni, la collettività invece viene privata di risorse naturali, culturali e non ultime economiche.
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